
29 Mag Debito Pubblico e Interessi
Il debito pubblico italiano
Il Debito Pubblico italiano ha superato i 2.250 miliardi di euro nei primi mesi del 2017: lo avrete letto e ascoltato ovunque, condito da una serie di considerazioni ben note.
Ci continuano a raccontare che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi; che abbiamo fatto le cicale in un periodo in cui essere formica sarebbe stato molto meglio; che bisogna fare sacrifici per recuperare competitività; che la colpa è dello Stato inefficiente, corrotto e sprecone; e chi più ne ha, più ne metta… Trovando -peraltro- terreno fertile in un perenne senso di inadeguatezza che pervade l’italiano-tipo, incline ad accettare qualunque critica nel nome di una nostra inferiorità rispetto agli altri, che sempre sono più bravi, più efficienti, meno corrotti..
Ma è proprio così?
I numeri, che sono quel che conta, dicono di no. Chiariamo qualche termine, e volgiamo lo sguardo indietro di qualche lustro.
Debito pubblico, deficit e saldo primario
Il debito pubblico è il debito accumulato nel corso del tempo dalle strutture della Pubblica Amministrazione: Stato, Regioni, Provincie, Comuni. E’ la somma dei deficit che si creano ogni anno tra le entrate (gettito fiscale) e le uscite (spesa pubblica).
Immaginate lo Stato come un’azienda: se i costi sono inferiori ai ricavi, a fine anno si genera un utile (detto anche surplus); viceversa, se i ricavi sono inferiori ai costi, a fine anno si genera una perdita (deficit). Siccome lo Stato non è un’azienda, e non trova la sua ragion d’essere nell’utile di fine anno, ma nel fornire servizi adeguati ai propri cittadini, l’obiettivo non è quello del surplus, ma di un deficit controllato o di un pareggio di bilancio a seconda del periodo storico, del ciclo economico e delle priorità politiche.
Ora, se il nostro debito è così alto, viene da pensare che abbiamo effettivamente speso troppo rispetto a quanto incassato, per di più con molti sprechi visto il basso livello dei servizi pubblici rispetto ai confronti internazionali.
Proviamo tuttavia a guardare più nel dettaglio, suddividendo tra risultato primario (tecnicamente saldo primario), e risultato (saldo) di bilancio. Il secondo è la differenza tra entrate e uscite totali: il saldo primario -invece- non considera le spese per interessi su debito, e confronta le entrate con le sole uscite relative ai servizi effettivamente erogati dallo Stato (servizi, investimenti, sanità, previdenza, istruzione, pubblica sicurezza, ecc.). In sostanza, il saldo primario indica se i cittadini hanno ricevuto più servizi rispetto alle tasse versate (disavanzo primario, lo Stato ha speso più di quanto incassato), o se viceversa abbiano pagato più tasse rispetto ai servizi ottenuti (avanzo primario, lo Stato spende meno di quanto incassa).
A logica, se fosse vera la favola dello Stato sprecone, corrotto e incapace -e vera la conclusione che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi- gli anni più o meno recenti dovrebbero essere stati un susseguirsi di disavanzi primari, tali da far impennare il debito ai livelli attuali.
Avanzo primario
Invece con l’eccezione del 2009-2010, tutti i governi successivi al 1992 hanno mantenuto la spesa primaria al di sotto delle entrate. In sostanza, negli ultimi 24 anni, 22 volte abbiamo avuto un avanzo primario: altro che vivere da cicale, abbiamo sempre pagato più di quanto si sia ricevuto indietro dallo Stato, parsimonioso come pochi al mondo (e di quanto sia parsimonioso, ce ne accorgiamo ovviamente dal livello e dalla qualità dei servizi). Risalendo fino al 1980, per comprendere anche anni di minor rigore di bilancio, abbiamo pagato in più rispetto a quanto ricevuto poco meno di 600 miliardi di euro. E noi saremmo le cicale…
Il ruolo degli interessi passivi
E allora, cos’è che ha fatto salire il debito pubblico? L’unica voce che manca nei conti precedenti: gli interessi passivi.
In 30 anni abbiamo accumulato tanti interessi passivi, che oggi costituiscono la totalità del nostro debito pubblico.
Che si debba pagare per prendere denaro in prestito è normale (lo fanno tutti gli Stati), che si paghino tassi d’interesse tanto elevati quanto li abbiamo pagati fino a metà degli anni ’90 -e nel 2011- normale lo è molto meno. Perché non sono stati l’inflazione o gli effervescenti anni ’80 la causa del problema, ma un paio di decisioni sbagliate sull’ancoraggio della nostra valuta ad aree valutarie (Sme prima, euro oggi) che sono tutto fuorché ottimali.
Di questo parleremo magari un’altra volta: nel frattempo ricordate che abbiamo vissuto al di sotto dei nostri mezzi, altro che al di sopra…
Fonti: Banca d’Italia, Istat, Ministero delle Finanze