Azioni o Titoli di Stato? In Italia è andata così... - Studio Rocchi Ghilardi Nuti
In tutto il mondo l'investimento in azioni ha dato risultati molto superiori rispetto ai Titoli di Stato. In Italia la storia è un po' diversa, perchè...
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Azioni o Titoli di Stato? In Italia è andata così…

Borsa o Titoli di Stato

Azioni o Titoli di Stato? In Italia è andata così…

Azioni o Titoli di Stato?

 

La domanda se sia stato meglio investire in azioni o in Titoli di Stato è vecchia come il mondo -o quasi.

La risposta dipende da molti fattori. Da quando far partire il confronto? Che mercati considerare? Guardare all’indice di Borsa semplice o quello Total Return? Come calcolare il rendimento dei Titoli di Stato, visto che all’inizio degli anni ’70 le emissioni non erano frequenti come oggi? Utilizzare indici netti o lordi? E altre ancora.

 

Le variabili

In questo post -primo di una serie sull’argomento-  scegliamo di restare in Italia, per una serie di ragioni. Per prima cosa, negli anni ’70 pensare ad una diversificazione geografica dei propri investimenti era utopia: per cui la scelta domestica era un obbligo, più che una decisione consapevole. Solo nel 1991 infatti le SIM iniziarono a sostituire gli agenti di cambio, gli scambi vennero via via centralizzati e regolati in modo telematico, e il mercato finanziario iniziò il percorso di avvicinamento a quelli che oggi sono gli standard internazionali. Prima di allora, la scelta era tra comprare qualche blue chip e tenere i titoli nel cassetto, oppure comprare Bot e non avere preoccupazioni.

Sulla data da cui far partire il confronto, ogni intervento soggettivo rischia di falsare il risultato finale: quindi scegliamo di iniziare da quando sono disponibili gli indici Comit relativi al mercato azionario italiano, ovvero dal 1973. Tra i vari indici disponibili, utilizziamo quello Total Return (il vero nome è Comit Performance), che comprende i dividendi distribuiti in questi 44 anni. In un arco temporale così lungo -infatti- prescindere dai dividendi è logicamente sbagliato. Che un investitore se li sia spesi anziché reinvestirli probabilmente più si avvicina alla realtà: ma l’obiettivo è misurare la convenienza di una scelta rispetto a un’altra, a prescindere da come ciascuno poi decida di implementarla nella pratica.

Per i Titoli di Stato abbiamo scelto i Bot, utilizzando i dati della Banca d’Italia. Per semplicità, e consapevoli che l’utilizzo di CCT o BTp avrebbe aumentato il rendimento complessivo.

Per entrambe le serie storiche abbiamo utilizzato rendimenti lordi: che distorcono le percentuali finali a cui si giunge -sovrastimandole- ma applicano questa distorsione in modo equo a entrambe le variabili. E come detto, semplificano di molto un lavoro che vuole essere di inquadramento storico, non di minuziosità contabile.

Per non complicare le cose, abbiamo usato i rendimenti nominali e non quelli reali, cioè depurati dall’inflazione. Questi ultimi sarebbero più logici e utili da usare, ma introducono un livello di difficoltà in più che non tutti sono in grado di affrontare con cognizione di causa. In ogni caso, l’andamento dell’indice azionario deflazionato lo potete trovare nel post in cui parliamo di quanto ha reso la Borsa italiana.

 

I risultati

I risultati li vedete in questo video: guardatelo, perché osservare la dinamica che porta alla formazione del risultato complessivo è utile, almeno tanto quanto il risultato stesso. Ricordate infatti che fissando un’immagine si sa già come va a finire: mentre guardando un video che scorre, si “simula” il percorso seguito nel tempo da chi non sapeva cosa sarebbe accaduto il mese successivo.

 

 

La peculiarità dell’Italia

Sì, l’Italia è un caso a parte -come spesso accade. Avrete sentito raccontare mille volte che -nel lungo termine- le azioni rendono di più delle obbligazioni, e che sopportare il rischio connesso alle frequenti, prolungate e profonde oscillazioni dei mercati azionari, ripaghi nel tempo con gli interessi nella forma di un rendimento significativamente superiore rispetto ad alternative più tranquille.

Anche nel nostro Paese -dal 1973 a oggi- è stato così. Le azioni hanno reso annualmente circa il 9%, i Bot circa l’8%. Ma che fatica…

Sei volte infatti (dal 1975 al 1978, 1981, 1987, 1992, 2003 e gli anni dal 2009 al 2013) l’investimento in Borsa è arrivato a perdere il 40% e più rispetto al massimo raggiunto in precedenza: a fronte di Bot che hanno esposto a oscillazioni minime, anche nei momenti di forti variazioni nei tassi o di dubbi sulla solvibilità del Paese, grazie a una scadenza sempre ravvicinata (max un anno).

 

Considerazioni

Da quanto visto, possiamo dedurre che in futuro la Borsa andrà meglio dei Titoli di Stato, o pensare il contrario? Ovviamente no. Però trova un po’ di giustificazione quella scarsa “cultura finanziaria” che da ogni parte si addebita all’investitore italiano: d’altronde, con la possibilità di prestare il denaro allo Stato e guadagnare bene e senza rischi, perché affannarsi a cercare altro? Solo che da un po’ di anni le cose sono cambiate, e bisogna fare di necessità virtù: ovvero, imparare a navigare il mare magnum dei mercati finanziari. Perché oggi senza rischio non si guadagna, e anche rischiando, il guadagno non è per nulla garantito.

Per questo, dal prossimo post usciremo dal cortile domestico e vedremo da vicino cosa è successo -in questo stesso periodo- nel mondo…