
12 Giu Quanto costano i fondi comuni
Quanto costano i fondi comuni
Sgombriamo il campo dai dubbi: i fondi comuni costano tanto, tantissimo. Per di più, i costi elevati non corrispondono a performance migliori, anzi: in media, i fondi con i costi più alti sono quelli che ottengono le peggiori performance.
Quali sono allora le motivazioni razionali che ci possono indurre ad acquistare dei fondi? In sintesi, nessuna.
Perché? Semplicemente, perché per ogni settore, borsa, area geografica o asset class esiste un ETF che costa molto meno dei fondi comuni, e proprio grazie a questo minor aggravio di costi la performance dei vostri investimenti nel tempo sarà superiore.
La ragione per cui i fondi comuni rimangono dominanti nel panorama finanziario è duplice:
- da un lato la remunerazione dei promotori, bancari e private banker con cui l’investitore si relaziona dipende dai prodotti che costoro vendono ai clienti. A prodotto costoso corrisponde ovviamente maggior guadagno, a prodotto economico guadagno basso
- la seconda ragione del proliferare di fondi comuni nei portafogli è l’utilizzo delle percentuali per indicarne i costi. Provate a pensarci: l’indicazione che un prodotto costi il 3% annuo è molto diversa rispetto alla quantificazione della spesa reale in euro (ad esempio, 3.000 euro per un capitale di 100 mila: per di più, spesa che si protrae negli anni)
Il TER
Il calcolo dei costi dei fondi viene fatto comunemente partendo dal TER (Total Expense Ratio): ovvero dalla % che indica i costi relativi al fondo in questione. Costi di cui l’investitore non si accorge, perché anziché venire conteggiati a parte sul conto corrente, vengono prelevati direttamente dal valore dell’investimento: e così il loro ammontare si annacqua nella performance complessiva. Il TER tuttavia non comprende tutte le commissioni a carico del fondo, e già questo rende fuorviante il risultato dell’analisi: se poi consideriamo la scarsa familiarità media con le percentuali, il quadro è completo.
Come fare, allora?
Un esempio pratico
Per prima cosa, analizziamo non un fondo singolo ma una categoria di fondi. E il modo migliore per farlo è utilizzare le serie storiche ufficiali più lunghe che ci siano a disposizione, ovvero gli indici Fideuram. Dagli anni ’80 gli indici Fideuram raggruppano i fondi comuni italiani in categorie omogenee (azionari, obbligazionari…) e sottocategorie (azionari italiani, azionari emergenti…), calcolando quotidianamente la performance media di ciascuna di esse. Numeri reali dunque, non stimati o congetturati.
Se consideriamo, per esempio, la categoria Azionari Internazionali, abbiamo a partire del 1999 l’andamento reale quotidiano dei fondi appartenenti a questa categoria.
Una volta che abbiamo scelto la categoria di fondi da osservare, la domanda successiva è: con cosa la confrontiamo?
La risposta è più semplice di quel che sembra. Esistono infatti numerosi indici, indicati normalmente con il termine benchmark, che servono proprio a fornire un termine di confronto per l’andamento di un fondo (o di una categoria di fondi, nel nostro caso).
Per il nostro confronto con l’indice Fideuram dei fondi azionari internazionali, usiamo chiaramente un indice adeguato e coerente: il suo nome è MSCI World.
Il confronto
A questo punto abbiamo tutto quello che ci serve: l’andamento storico di una categoria di fondi comuni, e l’andamento di un indice che rappresenta il riferimento idoneo per questa categoria di fondi. La differenza di andamento tra i due ha un solo imputato: le commissioni (in realtà ci sono anche le tasse, ma il loro impatto è molto inferiore). L’indice infatti delinea l’andamento di un mercato senza “attriti”: i fondi risentono invece dei numerosi costi che li affliggono.
Il risultato è da mettersi le mani nei capelli.
Guardiamolo assieme.
Immaginiamo di essere nel 1999 e di avere 100mila euro da investire in azioni: per esempio, un figlio appena nato per il quale si voglia mettere via un capitale in vista del compimento dei 18 anni. Incerti su cosa scegliere, compriamo dei fondi azionari internazionali, diversificando tra gestori per correre meno rischi.
Ora facciamo un salto veloce fino ad oggi, 18 anni dopo: cosa è successo?
E’ successo che il nostro investimento (la linea nera del grafico qui sopra) è cresciuto fino a valere 150mila euro. Un buon risultato?
Per nulla: un risultato pessimo. Perché senza i costi di cui i fondi sono carichi, il capitale che ci saremmo ritrovati oggi sarebbe stato di 243mila euro (pari alla performance dell’indice di riferimento, per definizione senza costi).
In 18 anni se n’è andato in costi e commissioni una cifra quasi pari al nostro capitale di partenza.
L’alternativa
L’alternativa esiste, come abbiamo visto, e si chiama ETF.
Prendiamo il grafico di prima, e aggiungiamo una linea (rossa) che rappresenti la performance di un ETF che replichi l’andamento dell’indice MSCI World. Visto che i primi ETF di questo tipo compaiono nel 2007, lo facciamo partire dallo stesso valore del benchmark in quel momento.
Risultato? Eccolo:
La prossima volta che vedrete il vostro promotore/privare banker sorridervi felice, almeno saprete perché.