I fondi comuni hanno notevoli limitazioni. Ad esempio, soffrono le loro notevoli dimensioni medie, e di conseguenza non possono che diversificare l’investimento tra un numero molto elevato di titoli, troppi rispetto a una scelta ottimale. Hanno costi elevatissimi, tra commissioni d’ingresso, di gestione, di performance, costi di transazione e altre voci di spesa: costi che spesso arrivano a superare il 3% annuo nei fondi comuni e il 4% annuo nelle gestioni in fondi, erodendo irrimediabilmente il rendimento finale (soprattutto per i prodotti obbligazionari). Sono regolati da una normativa che ne limita le possibilità operative, precludendo scelte che possono essere redditizie.
I gestori dei fondi non sono incentivati a comportarsi in modo differente dagli altri, perchè la raccolta di un fondo non dipende dalle performance ottenute, ma dalla capillarità e determinazione della rete di vendita (sportellisti e promotori). Sono in massima parte indicizzati, ovvero investono nei titoli presenti in determinati indici di riferimento (i benchmark), esattamente nella stessa proporzione in cui i titoli sono presenti in tali indici: in pratica, non effettuano la minima analisi e scelta di tipo qualitativo, ma si limitano a mantenere proporzioni prefissate tra i titoli di maggiori dimensioni.
Al di la’ delle singole critiche, la storia dimostra che il rendimento ottenuto in media dai fondi comuni (figuriamoci dalle gestioni in fondi) non riesce nemmeno a pareggiare quello degli indici che tentano di replicare.